L’Hip Hop ci ha salvato la vita e stiamo facendo di tutto per ricambiare, nonostante saremo sempre troppo piccoli rispetto ai muri che gli uomini innalzano.
Con la nostra carovana abbiamo provato a scrivere una parte di un racconto inedito. Tutto si costruisce una pietra alla volta, un po’ come le case a Gaza dopo i bombardamenti. 
L’Hip Hop ha delle potenzialità enormi, ed in un contesto come Gaza può gettare un seme che sia il principio di una grande speranza.
L’11 agosto 2019 abbiamo staccato i nostri piedi dal suolo di Gaza e il pensiero è andato subito all’11 agosto 1973, quando tra altre macerie, quelle del Bronx, l’Hip Hop si faceva strada tra chi creava dal nulla un’alternativa di vita.


Il contatto fisico violento divenne battle di breakdance, I muri ed i treni della città divennero superfici tele per imprimere a chiare letter il messaggio di rivalsa che voleva a tutti i costi urlare “Ci siamo anche noi. Non siamo numeri”
In strada nascevano i block-party, che radunavano persone in cerca di vibrazioni positive e cerimonie a suon di musica in vinile, con intrattenitori che concentravano e ammaliavano le prime masse affascinate da questo nuovo e magnifico spettacolo: gli Mc’s. Lì, proprio dove il terreno sembrava essere arido e dove nessuno avrebbe mai scommesso. Oro nella polvere. 
Immediato è il parallelismo con Gaza, dove segregazione, povertà e disoccupazione sono all’ordine del giorno. 
L’allora neonato Hip Hop intanto è cresciuto in questi 46 anni, diventando un linguaggio che ha permeato e contaminato le culture di tutto il mondo. Abbiamo lasciato la nostra tag a Gaza e ci auguriamo che possa far fiorire un fiore di speranza tra i giovani che continuano a gridare “Ci siamo anche noi. Non siamo numeri”!
Giovani di Gaza, voi siete il futuro e ci auguriamo che da oggi possiate impugnare un microfono, una bomboletta o fare un passo di breakdance per affermare che ci siete.

Grazie Palestina! A presto, Insha’Allah!

#Gazaisalive #Hiphopsenzafrontiere

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